giovedì

bollette Acqua: non sono dovute tariffe di depurazione sugli impianti inesistenti o inattivi

Con una storica pronuncia, la Corte Costituzionale, con sentenza dell’8 ottobre 2008, n. 335, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, legge 5 gennaio 1994, n. 36 (disposizioni in tema di ricorse idriche), sia nel suo testo originario che nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31.07.2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che



“la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione, o questi siano temporaneamente inattivi”.

Altresì, la Corte dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia di ambiente, nella parte in cui prevede che


“la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.



LA SENTENZA HA UNA VALENZA IMPORTANTISSIMA NEI CONFRONTI DI TUTTI GLI UTENTI-CONSUMATORI DI SOCIETA’ DI GESTIONE DI SERVIZI IDRICI INTEGRATI NONCHE’ DI GESTIONE DI IMPIANTI DEPURAZIONE DI FOGNATURE.


IL CASO: ORAMAI DA ANNI, MOLTI UTENTI CONSUMATORI, IN OGNI REGIONE ITALIANA, SONO COSTRETTI AL PAGAMENTO DI QUOTE DI TARIFFE, RELATIVE A SERIVI DI DEPURAZIONE DI ACQUE E GESTIONE IMPIANTI CENTRALIZZATI DI FOGNATURE COMUNALI, ANCHE LADDOVE SIA ACCERTATA L’INESISTENZA DEGLI APPOSITI IMPIANTI, OVVERO IN IPOTESI QUESTI SIANO NON OPERANTI.


PER ANNI DUNQUE SI E’ IMPOSTO AL CONSUMATORE DI VERSARE DELLE SOMME, DEFINITE “SENZA TITOLO”, IN QUANTO RICHIESTE SULLA BASE DELL’ESERCIZIO DI UN POTERE ARBITRARIO, VOLTO AD IMPORRE UNA PRESTAZIONE PATRIMONIALE IN ASSENZA DELLA RELATIVA CONTROPRESTAZIONE.


LA CORTE DUNQUE HA RICONOSCIUTO L’ILLEGITTIMITA’, ARBITRARIETA’ ED IRRAGIONEVOLEZZA DELLA RICHIESTA, EFFETTUATA AGLI UTENTI DI SERVIZI DI FOGNATURA E DEPURAZIONE, DI SOMME (QUOTE DI TARIFFA) DOVUTE PER UN SERVIZIO MAI FRUITO, SOMME CONSIDERABILI NON PIU’ COME TRIBUTO, BENSI’ COME UN QUALUNQUE CORRISPETTIVO DI DIRITTO PRIVATO.


QUALI LE CONSEGUENZE?

IL PAGAMENTO AVVENUTO SULLA BASE DELLE NORME CHE OGGI SONO STATE CONSIDERATE ILLEGITTIME ED IN COSTITUZIONALI, DEVE ESSERE CONSIDERATO COME IPOTESI DI PAGAMENTO DI INDEBITO OGGETTIVO, PERCHE’



“SI TRATTEREBBE DI UN PAGAMENTO EFFETTUATO SENZA UNA ORIGINARIO OD INTERVENUTA CAUSA GIUSTIFICATIVA DEL PAGAMENTO STESSO”.



Altresì, ulteriore conseguenza della citata pronuncia, riguarda le modalità di riscossione di detti canoni, avendo la Corte stabilito l'inapplicabilità alla tariffa del servizio idrico integrato – disposta dalla stessa legge n. 36 del 1994 contenente la disposizione censurata (in combinato disposto con l'art. 17, ottavo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante «Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento») – di quelle modalità di riscossione mediante ruolo, che sono tipiche (anche se non esclusive) dei prelievi tributari. L'art. 15 della citata legge n. 36 del 1994 si limita, infatti, a disporre che «la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio idrico integrato», eliminando ogni riferimento a quei meccanismi coattivi di riscossione dei tributiche erano, invece, espressamente richiamati dal previgente art. 17, ottavo comma, primo periodo, della legge n. 319 del 1976 – il quale ne prevedeva l'applicabilità solo «fino all'entrata in vigore della tariffa fissata dagli articoli 13, 14, 15 della legge 5 gennaio 1994, n. 36» – e disciplinati dagli artt. 273 e seguenti del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 e dagli artt. 68 e 69 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43.”


Dunque, la riscossione del servizio idrico non potrà più essere effettuata con la riscossione tramite cartelle esattoriali, così come molti gestori hanno cominciato a fare, ma dovrà seguire la ordinaria procedura civilistica tramite ingiunzioni di pagamento, con esclusione della possibilità di ricorrere all’Ente Esattore delle Tasse.



DUNQUE, SULLA BASE DI DETTA IMPORTANTISSIMA PRONUNCIA, L’UTENTE – CONSUMATORE POTRA’ NON SOLO CHIEDERE 
  1. LA SOSPENSIONE DI OGNI RICHIESTA FUTURA DI PAGAMENTO EFFETTUATA DALL’ENTE EROGATORE DEL SERVIZIO NON RESO,

  2. LA RESTITUZIONE DI OGNI SOMMA VERSATA IN BASE A DETTO TITOLO, ANCHE SE COSTITUENTE SOLO UNA QUOTA DI UNA SOMMA CARATTERIZZATA DA PIU’ VOCI.

  3. LA RICHIESTA DI RESTITUZIONE DEGLI INTERESSI MATURATI SU DETTE SOMMA, AL TASSO LEGALE.

  4. UNA RICHIESTA, INVIATA ALL’ENTE DEPUTATO ALLA RISCOSSIONE DEL TRIBUTO, DI SOSPENDERE OGNI PRATICA DI RECUPERO DEL DETTO CREDITO, IN QUANTO ILLEGITTIMA, NON POTENDO DETTA SOMMA ESSEE RICHIESTA A TITOLO DI TRIBUTO.


RICORDIAMO CHE IL DIRITTO ALLA RESTITUZIONE DI DETTE SOMME, SI PRESCRIVE NELL’ARCO DI DIECI ANNI.
SEGUENDO ALTRE IMPORTANTISSIME SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE E DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SU UN TEMA ANALOGO, POSSIAMO AFFERMARE CHE:


“La prescrizione decennale del diritto alla ripetizione di quanto pagato in applicazione di una norma successivamente dichiarata incostituzionale (nella specie, dei contributi versati allo Scau e risultati indebiti per effetto della sentenza della corte cost. n. 370 del 1985) decorre, ai sensi dell’art. 2935 c.c., dal giorno del pagamento, anziché dalla data della pronuncia d’incostituzionalità o della pubblicazione della medesima, configurandosi la vigenza della norma viziata da incostituzionalità non ancora dichiarata come una mera difficoltà di fatto, che non impedisce la possibilità di far valere la pretesa restitutoria, e può dal titolare essere interrotta, secondo la disciplina generale (art. 2943 c.c.), anche mediante atti diversi dalla domanda giudiziale.”


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