mercoledì

Assistere ad uno scempio: Cronaca (vera, verissima, scandalosa) di un GLH.


Sono la terapista di Alessandro, 13 anni, con tetraparesi spastica, da circa due mesi. Come per tutti gli altri bambini e ragazzi che seguo, mi sono resa disponibile per parlare con gli insegnanti e chiarire alcuni punti per aiutare il ragazzo. La mamma mi aveva informato di una situazione di criticità all’interno della scuola, sia sul piano didattico (per cui il ragazzo viene definito “svogliato” e “disattento”, piuttosto che portatore di una grave patologia che compromette alcune funzioni cognitive come la spazialità, la memoria, l’utilizzo di strategie) che su quello burocratico-organizzativo e di integrazione. Al ragazzo infatti non è stato concesso per due anni consecutivi il pullman con pedana per andare in gita con i suoi compagni con la motivazione che “il pullman non c’è”, ed è quindi stato costretto ad effettuare le gite accompagnato dal padre in macchina; per il secondo anno consecutivo l’insegnante di educazione artistica ha proposto alla classe, tra tutte le possibilità di espressione che l’arte può dare, la costruzione di un MOSAICO che il ragazzo per ovvie difficoltà motorie non può effettuare: il primo anno ha anche pagato una quota di 15 euro per comprare il materiale che non è riuscito ad utilizzare (Alessandro si è rifiutato di portare a casa il lavoro perché non l’aveva fatto lui ma l’insegnante per suo conto); il risultato dopo la discussione che ne è conseguita l’anno scorso è che quest’anno Alessandro NON PAGA LA QUOTA (ma il lavoro richiesto rimane il mosaico!). Evviva l’integrazione...


Con queste premesse mi sono addentrata nella scuola nel giorno e nell’ora prefissata per il GLH, pensando di “cavarmela” come al solito con una dimostrazione chiara e semplice di come non ci si possa permettere di  etichettare un ragazzo come “svogliato” senza avere una profonda conoscenza delle dinamiche di apprendimento, della patologia in questione, dell’utilizzo dei processi cognitivi in sede patologica, eccetera. Di solito la chiarezza e la spiegazione in termini più che validi di quello che dovrebbe essere palese (permettersi di dire “svogliato” ad un ragazzo con una lesione cerebrale significa decretare che NON si è in grado di insegnare, ma tant’è), chiude la questione e apre un dialogo e un confronto con l’insegnante.
Sono stata invece testimone di uno scempio di inciviltà come MAI in circa 10 anni che ho a che fare con la disabilità, le famiglie e gli insegnanti , mi era capitato. Posso assicurare che ho conosciuto ed incontrato tra chi si occupa di disabilità gente ignorante, becera, cafona, persone del tutto incompetenti ed inadatte al ruolo, ma MAI nella mia vita mi era capitato di assistere a tanto schifo.

Quando arrivo a scuola (circa 60 km da dove abito, perché Alessandro vive fuori Roma), mi fanno presente che “devo aspettare” perché c’è un altro GLH in corso. Attendo fuori dall’aula con la mamma di Alessandro e l’insegnante di sostegno, che incontro per la prima volta in quel frangente. Il tempo passa, e cerco di far capire all’insegnante di sostegno che dovendo tornare a Roma per lavorare non posso aspettare moltissimo, ma questo non cambia nulla: devo aspettare 45 minuti prima che qualcuno esca a dirmi che possiamo entrare (ovviamente nessuno si scusa del ritardo).

Entriamo nell’aula e siamo io, la mamma di Alessandro, una neuropsichiatra della ASL che ha visto il ragazzo per l’ultima volta esattamente 11 anni fa (della cui presenza non capisco l’utilità), l’insegnante di sostegno conosciuta 45 minuti prima fuori dall’aula e la coordinatrice delle persone che si occupano delle necessità assistenziali di Alessandro (che non ha mai visto Alessandro ovviamente). NESSUN MEMBRO DEL CORPO DOCENTE. Io e la mamma chiediamo che GLH è, quello in cui mancano tutte le persone che si occupano della sua formazione, e ci fanno notare che poiché è passato del tempo ora c’è la ricreazione e quindi nessun insegnante può lasciare la classe. La mamma chiede che sia presente almeno la docente di lettere che è quella più “problematica” nel rapporto con il ragazzo, e l’insegnante di sostegno va a chiamarla.

Questa donna entra lamentandosi e dicendo che il GLH non si può fare di mattina (?!) perché loro hanno altri 650 ragazzi da guardare e non c’è il tempo per occuparsi di queste cose. La mamma chiede “allora possiamo farlo di pomeriggio?”, la risposta è un NO secco (troppo da fare?). La coordinatrice delle assistenti saluta dicendo che ha da fare e se ne va. Rimaniamo io, la mamma, il sostegno, l’insegnante curriculare e la famosa neuropsichiatra di cui non conoscerò neanche il suono della voce, visto che rimane immobile e muta.
Comincio a spiegare quali sono le difficoltà del ragazzo, l’insegnante mi chiede se il ragazzo abbia bisogno di una programmazione differenziata ed io chiarisco che no, non c’è bisogno di una programmazione differenziata, semplicemente di un po’ di buon senso, senza pretendere che, data la sua lentezza e le sue difficoltà, Alessandro riesca a fare tutto quello che fanno i compagni. Tento di spiegare che bastaerebbe porre le domande in modo diverso, per fargli porre attenzione sugli elementi rilevanti che da solo non riesce ad estrapolare, ma ad ogni frase mi viene proposta l’obiezione “eh! Ma tanto non lo fa lo stesso!”.
So per certo invece che basterebbe proporre gli esercizi in modo diverso: ad esempio, per matematica è completamente inutile scrivere l’esempio (come invece viene fatto a scuola), per difficoltà ad estrapolare autonomamente la regola, mentre dovrebbero essere esplicitati i passaggi VERBALMENTE e trascritti, perché Alessandro utilizza il linguaggio come guida per organizzare l’azione, e questo lo aiuta. Ma tant’è: le risposte sono sempre “ma tanto non lo fa!”. Cerco di far notare che quando la risposta di un bambino/ragazzo è sbagliata, è perché è sbagliata LA DOMANDA, e che l’incapacità di Alessandro a svolgere i compiti dovrebbe essere un problema DELL’INSEGNANTE e non del ragazzo o della famiglia (già, perché la docente non ha mancato di far notare che “tanto a casa c’è la mamma, lo seguirà lei”: mamma che passa i pomeriggi e le serate fino alle 23 nel tentativo di far finire i compiti al ragazzo, ma che importa, tanto c’è lei), ma mi sembra di avere poco riscontro.

E’ passato esattamente un quarto d’ora dall’inizio del GLH che entra una signora (poi identificata come insegnante di sostegno di un altro ragazzo) che sgarbatamente ci dice: “qui dovete rispettare gli altri, c’è gente che aspetta!”. A quel punto abbastanza alterata dico: “signora, io non mi sono permessa di interrompere il GLH precedente per il quale ho aspettato 45 minuti, e non vengo da qui dietro, vengo da Roma: se vogliamo parlare di rispetto, aspetteranno gli altri come ho aspettato io”. L’insegnante non mi risponde, se ne va sbattendo la porta mentre sto ancora parlando.

Tanto per dare un’altra mazzata, Alessandro una volta a settimana esce da scuola un’ora prima dei suoi compagni, dopo tre ore di lezione e due ore di piscina, perché ha necessità di riposarsi un’ora prima di mettersi in macchina per raggiungere il mio studio dove effettua la sua terapia.
L’insegnante di lettere, alcuni giorni prima, ha detto all’assistente di Alessandro di far presente alla mamma che il ragazzo, uscendo un’ora prima da scuola una volta a settimana per venire a fare terapia, non rispetta il lavoro degli altri. La mamma chiede, in sede di GLH, di non dover giustificare il ragazzo per questioni di scelte personali  (una terapia diversa da quelle fatte fino a quel momento, purtroppo molto lontana dalla scuola). Mi domando se “gli altri” abbiano una tetraparesi spastica e/o  l’esigenza di provarle tutte per tentare di evitare un intervento chirurgico molto doloroso ed invasivo (che era già stato programmato) a causa della propria patologia; o se “gli altri” non abbiano dolori che impediscano di prendere sonno, come Alessandro, che sta scoprendo di poter gestire il proprio corpo attraverso la riabilitazione. Penso dentro di me che il rispetto è qualcosa di veramente personale, ma in certi casi probabilmente ci si riempie la bocca di parole di cui non si conosce il significato, ed è vergognoso.

Dopo questa disquisizione, la mamma pone il quesito spinoso del pullman: quest’anno ci sarà la famosa pedana, ed Alessandro potrà andare in gita con i compagni? Risposta dell’insegnante: “signora, ancora con questa storia! Se lo troviamo, bene, e se no pazienza”. La mamma fa notare che Alessandro vuole andare sul pullman con i suoi compagni, e non fare una gita “differenziata”, e chiede: “vi rendete conto che mio figlio soffre? Dove avete la sensibilità?”. L’insegnante si alza dalla sedia e urla: “non si permetta! Non si permetta di offendermi dicendo che non sono una persona sensibile! Io sono sensibile! Basta me ne vado!”. Rimango allibita e guardo l’insegnante di sostegno che rimane completamente muta, la neuropsichiatra è mummificata e non ci guarda neanche, che mi verrebbe da metterle uno specchietto sotto al naso per controllare che respiri. Faccio presente che il ragazzo ha delle necessità di integrazione ma ormai la frittata è fatta, mentre la mamma parla l’insegnante urla: “lei parli, parli, che con quella parlantina doveva fare un altro mestiere!”.
Tra un’urlo e l’altro questa docente si alza dicendo che “non ci dobbiamo permettere” e SE NE VA. Nel mezzo di un GLH, prende e se ne va. Rimaniamo basite, io e la mamma. L’insegnante di sostegno rimane così, un pò sbigottita ma non fa nulla (probabilmente non può per dinamiche interne). La neuropsichiatra è sempre lì, immobile come una pianta, in attesa di qualcuno che la innaffi.

Mentre commentiamo l’assurdità della questione, entra la preside (che non si era degnata di partecipare prima), che si giustifica entrando: io ho altri 650 ragazzi da guardare, non posso stare qui solo per Alessandro. Dico che a me degli altri 650 non interessa in quel momento, che il GLH si fa per Alessandro, non per gli altri 650. Ricevo una risposta sgarbata, e subito dopo parte quella che è la conversazione più agghiacciante che io abbia mai sentito, come terapista e come persona.

Mamma: “Preside, lei l’anno scorso mi aveva promesso che Alessandro avrebbe avuto il pullman con la pedana.”
Preside: “signora, io faccio quello che posso fare. Ma se devo mettere un punto, e se devo scegliere, non posso AFFOSSARE gli altri 20 facendogli pagare una cifra esorbitante solo perché ad Alessandro serve un pullman con la pedana. Se devo scegliere, IO AFFOSSO SUO FIGLIO.” Continua dicendo che i genitori non sono disposti a pagare di più “solo” perché suo figlio è disabile, il messaggio è: in fondo il figlio è tuo, problemi tuoi.

Io sono allucinata, a quel punto sono alterata quanto basta e dico: “lei non deve affossare proprio nessuno, ed Alessandro ha i suoi diritti esattamente come gli altri.”

Preside: “Appunto, ANCHE GLI ALTRI HANNO DIRITTO DI ANDARE IN GITA

Chiedo: “e Alessandro no? E’ forse giusto che suo padre si prenda CINQUE GIORNI DI FERIE come l’anno precedente per accompagnarlo in gita a fare qualcosa di cui la famiglia non si dovrebbe occupare?”

Preside: “non mi sembra una tragedia” (no? E lei non se li prende, 5 giorni di ferie per accompagnare i suoi figli in gita?)

Io: “si sbaglia, perché questa E’ una tragedia”

Mamma: “Mio figlio soffre e sta male, perché vuole stare con i suoi compagni

Preside: "E’ lei che sta male, non suo figlio” (un classico: il problema è suo, non del ragazzo, si faccia curare!)

Mamma: “Lei non capisce? Io sto difendendo i diritti di mio figlio! Per tre anni sono stata zitta ora però un sassolino me lo devo levare e devo dire cosa c’è che non va!”

Preside: “Quando mai lei è stata zitta? E guardi che io sono mamma e nonna e quindi la capisco!” (un incredibile esempio di empatia!)

Io sono ormai una iena, salto su e dico: “Eh no! Dubito fortemente che lei sappia cosa significhi essere mamma di un ragazzo con tetra paresi spastica

E qui c’è il tripudio della civiltà, la preside commenta “BEH, GRAZIE A DIO NO

Io e la mamma ci guardiamo con gli occhi sbarrati, siamo sconcertate. Lei cerca di far valere i diritti di suo figlio (cose per cui non ci sarebbe da combattere: è IL MINISTERO, che dice che il disabile va integrato e che il mezzo di trasporto è un problema che la scuola DEVE risolvere, e che qualsiasi attività extrascolastica deve essere programmata per includere il disabile) e non è mai stata offensiva, eppure si è trovata anche a dover giustificare la disabilità del figlio, quasi a scusarsi, se i genitori degli altri dovevano pagare 10 euro in più per un pullman!

Quando usciamo, scandalizzate, l'insegnante di sostegno prima entrata ci fa notare con un sorrisetto compiaciuto che "abbiamo perso un'occasione per fare bella figura". Già, bella figura. E' questo, che conta.

 Io ero lì per cercare di far capire che il ragazzo aveva dei bisogni particolari che potevano essere risolti con un po’ di buon senso, ma mi rendo conto che qui mancano il buon senso, la civiltà, l’integrazione, l’accoglienza, manca tutto. E’ solo un tripudio di ignoranza dove il più debole deve essere “affossato” perché “la maggioranza ha deciso così”. Ho deciso di pubblicare questa storia perché è UNO SCHIFO ED UNA VERGOGNA che queste persone si occupino di formare gli alunni passando il messaggio che la persona disabile VALE MENO, che le sue necessità di integrazione, di socializzazione, di comunicazione siano in secondo piano rispetto alle esigenze “degli altri”, e che quindi le sue difficoltà “non sono tragedie”, mentre è una tragedia che gli altri genitori paghino 10 euro in più per permettere anche ad Alessandro di andare in gita con i compagni, o che la mamma della persona disabile si azzardi a dire la sua perché è classificata come “quella che non sta mai zitta”.

So benissimo che molte volte i GLH non sono costruiti realmente per aiutare il bambino: spesso si tratta di meri espedienti burocratici per giustificare alcune scelte, o semplicemente “obblighi” ministeriali. Vorrei che non fosse così, ma so che spesso lo è. Tuttavia non mi era mai capitato di assistere a comportamenti e fatti vergognosamente indecenti come questi.

Questi scempi non possono essere taciuti. Io non sono la mamma di Alessandro, sono la sua terapista. Non posso essere classificata come “mamma che non accetta” o “mamma apprensiva, esagerata” o altro: io ero presente e posso confermare che mai e poi mai nella mia vita ho assistito ad uno schifo tale.

La foto in alto è il piano dell’offerta formativa della scuola di cui ho parlato. L’ho fotografato perché era appeso in bacheca. Io voglio dire solo una parola: VERGOGNATEVI.
Riabilitazione Neurocognitiva in Età Evolutiva
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